Un concetto spesso frainteso e associato a un altro che in realtà ne è assolutamente lontano, ovvero quello della rassegnazione: l’Adattamento è l’insieme dei comportamenti che ognuno di noi può e deve adottare per far fronte alla crisi climatica. Ma nonostante la sua importanza, se ne parla poco e male.
È TEDx speaker, autore e curatore di podcast e Talent di Amazon Audible per i temi relativi alla crisi climatica, ma anche docente di Comunicazione all’interno di un master di secondo livello del Politecnico di Torino e speaker di rilievo in eventi di respiro nazionale e internazionale. È co-ideatore e co-fondatore del progetto Adaptation e prima di ogni altra cosa è un giornalista: un divulgatore scientifico - con all’attivo vent’anni da contributor per il National Geographic - che in maniera oggettiva, documentata e innovativa porta all’attenzione dell’opinione pubblica le innumerevoli sfaccettature del processo di adattamento al cambiamento climatico. L’intento è quello di scuotere le nostre coscienze e al contempo farci intravvedere possibili soluzioni e cammini virtuosi di adattamento proattivo a condizioni di vita “nuove” sul nostro pianeta.
In questa intervista Marco Merola racconta con passione i suoi progetti e la sua visione di come tutti – aziende, istituzioni e comuni cittadini – possano fare Adaptation.
Un linguaggio nuovo
Adaptation non è un website, ma un webdoc - a oggi, l’unico webdoc certificato che si occupi del tema dell’adattamento al cambiamento climatico - ovvero una piattaforma digitale di narrazione integrata, che riunisce vari linguaggi audiovisuali e scritti.
Al centro dei “racconti” ci sono i viaggi e le esperienze fatte sul campo da Marco e dal team di giornalisti e videomaker di Adaptation in diversi territori, alla scoperta di processi virtuosi di adattamento. “Adaptation è un termine del tutto frainteso e misconosciuto, perché è nato all’interno della comunità scientifica e lì è rimasto relegato per molto tempo”, spiega Marco. “Abbiamo voluto creare un progetto su questo grande tema perché ci siamo resi conto di come, in Italia e all’estero, l’Adaptation, che di fatto è una delle vie per confrontarsi con la crisi climatica proposte dall’Accordo di Parigi del 2015, insieme a Mitigation e Finance, sia un concetto decisamente poco chiaro ai più e venga spesso associato alla rassegnazione. Con le “storie” che raccontiamo vogliamo invece spiegare che il termine Adaptation è tutt’altro, perché racchiude in sé la speranza e ci chiama tutti in campo a gestire in maniera proattiva la transizione verso un mondo più sostenibile”.
Nato quattro anni fa, il progetto giornalistico ha mosso i primi passi all’estero, raccontando le strategie di adattamento dell’Olanda, poi è “tornato” in Italia durante la pandemia, per raccontare cosa si faccia nelle Regioni del nostro Paese per adattarsi al cambiamento climatico. “Anche questa è stata una forma di adaptation, se vogliamo”, scherza Marco.
Partito come un webdoc, Adaptation è diventato poi anche molto altro. Il team di comunicatori, giornalisti ed esperti programmatori del web che ne fa parte, supportato per la parte tecnica dall’agenzia “The Trip” di Roma, ha iniziato a fornire consulenze sulla comunicazione ad alcune università impegnate in progetti europei e a realizzare prodotti targeted di “brand journalism” per aziende private che intendevano comunicare in maniera innovativa le proprie strategie di adattamento.
Marco, cosa pensi del modo in cui oggi si parla di crisi climatica in Italia?
“Credo vi sia ampio margine di miglioramento, soprattutto in termini di contestualizzazione del tema. La “infodemia” che ha caratterizzato la comunicazione al tempo del Covid ci ha insegnato molto, da questo punto di vista. La diffusione di notizie poco o per nulla attendibili, contraddittorie e spesso parziali, ha generato nell’opinione pubblica diffidenza e false credenze e ha alimentato le più assurde tesi complottiste. Allo stesso modo, quando si verifica una catastrofe legata alla crisi climatica, il racconto che ne fanno i media, abusando di titoli a effetto e parole inesatte, è un racconto a senso unico, drammatico e che prospetta un futuro ancor più drammatico. Raramente viene contestualizzato l’accaduto. In questo tipo di narrazione manca la speranza. Manca, cioè, quell’elemento che possa “triggerare” le coscienze delle persone e far dire loro “ok, mi rimbocco le maniche e faccio qualcosa”. Adaptation si inserisce proprio in questa fase del processo di elaborazione dell’informazione da parte del pubblico, dopo il punto interrogativo con cui si conclude la domanda: “io cosa posso fare?”.
Solo esempi negativi?
Assolutamente no. Accanto alla “pars destruens” del nostro sistema mediatico, che vive di catastrofismo, che non si documenta adeguatamente e non legge i report rilasciati dagli organismi scientifici internazionali, c’è la “pars construens” che invece è assolutamente apprezzabile. I media mainstream sono spesso quelli che affrontano la crisi climatica in modo sensazionalistico ma decontestualizzato, mentre a livello locale esistono esempi virtuosi ed estremamente all’avanguardia. Noi di Adaptation, per esempio, siamo stati coinvolti nella formazione dei giornalisti dei quotidiani veneti del Gruppo GEDI, i cui direttori responsabili hanno voluto che tenessimo il primo workshop della nascente digital academy aziendale. Lo scopo era quello di dare ai colleghi strumenti utili a migliorare il loro approccio al tema della crisi climatica, a tutto vantaggio della qualità e della correttezza delle notizie diffuse. Perché, diciamocelo chiaramente, oggi la scarsa preparazione di giornalisti e comunicatori su temi sensibili come clima e pandemia è un problema enorme”.
A chi parla Adaptation?
“A tutti, indistintamente. Ed è nato per toccare le coscienze di utenti di tutte le età. Il format che utilizziamo, il webdoc, è agile, di semplice fruizione e in grado di catturare l’attenzione anche di quella fascia di popolazione, la generazione Z, a cui tutti “danno la caccia”, spesso non riuscendo a dialogarci, perché si sceglie il linguaggio sbagliato. Adaptation arriva anche a loro, ai giovani. Ne ho riprova quando vengo invitato dalle scuole in eventi di formazione: vi assicuro che nessuno studente guarda lo smartphone mentre parliamo di crisi climatica! Adaptation è diventato anche uno strumento di education”.
Quanto si parla di agricoltura in Adaptation?
“Tantissimo. In ogni regione che abbiamo visitato, i temi dell’agricoltura e della food security sono stati trattati con grande attenzione e con un approccio multidisciplinare. Per esempio, tutti sappiamo che l’adattamento passa attraverso un uso più razionale della chimica in agricoltura, un tema che è anche molto caro all’opinione pubblica, ma oggi l’umanità non può ripudiare aprioristicamente le più avanzate tecnologie di miglioramento genetico delle piante. Considerata la rapidità con la quale cambiano le condizioni climatiche e ambientali, nel 2050 non saremo in grado di produrre cibo per dieci miliardi di persone, quindi rendere più resistenti, per via genetica, alcune varietà di ortaggi o cereali è assolutamente necessario. Affrontare questo tema in pubblico significa spesso scontrarsi con pregiudizi e rigidità ma una grande parte della colpa dovremmo prendercela proprio noi giornalisti, che finora abbiamo fatto un’informazione parziale e poco chiara”.
Due parole sul PNAC, di recente pubblicazione
“Il Piano Nazionale di Adattamento al Cambiamento Climatico è stato pubblicato a dicembre 2022, dopo essere stato in panchina per quattro anni: giaceva infatti come “lettera morta” sul sito del Ministero dell’Ambiente dal 2018. Purtroppo, nella sua ultima versione non pare aver subito modifiche e aggiornamenti che sarebbero stati quanto mai opportuni: dal 2018 a oggi il mondo è cambiato moltissimo... Chiariamo un punto, però: il Piano non è operativo, in quanto deve prima essere sottoposto alla VAS (Valutazione Ambientale Strategica) da parte degli organismi competenti, dunque ci vorrà tempo. Riuscirà il nostro Piano a integrarsi con quello della Ue che è stato aggiornato nel 2021? È presto per dirlo. Desta, poi, più di una perplessità il fatto che il Piano Nazionale non tenga minimamente in conto che alcune Regioni, Emilia-Romagna in primis, hanno già adottato da anni dei loro Piani di adattamento locali dei quali, incredibilmente, quello Nazionale non fa neppure menzione”.
Crisi climatica e crescita economica: cosa ne pensi?
“Ritengo che ci siano settori produttivi che, così come sono impostati attualmente, sono del tutto insostenibili in termini ambientali e andranno quindi completamente ripensati. Alcune filiere stanno lavorando in tal senso, e non per generosità o per bontà verso il prossimo, ma perché non farlo significherebbe soccombere. Penso che l’economia non debba rimanere ferma al palo ma evolvere. Nell’ultimo World Economic Forum di Davos è stato lanciato un imperativo importante: “reboot capitalism”, riavviare il capitalismo, un capitalismo nuovo. Quello è il senso. Nessuno vuole creare disoccupati o andare a incidere negativamente sul benessere della popolazione mondiale, ma guardare in faccia la realtà, quello sì. Nei prossimi anni assisteremo alla morte di tanti lavori, attività o professioni che non hanno più ragion d’essere ma anche alla nascita di nuovi”.
Dunque, ci serve un’agricoltura più sostenibile?
“Anche il concetto di sostenibilità, se decontestualizzato, non significa nulla. Perché, a voler ben guardare, non esiste qualcosa che non impatti in qualche misura sull’ambiente. Anche l’invio di una semplice email produce dai 5 ai 50 g di CO2, a seconda dell’allegato che reca. Quindi, a mio parere, oggi bisognerebbe studiare come bilanciare gli effetti di qualche nostra azione che è insostenibile con qualche altra che lo è di meno. È una riflessione che dovremmo fare tutti, nessuno escluso, essendo consapevoli che se anche fermassimo all’istante tutte le attività più inquinanti del pianeta non vedremmo comunque riflessi positivi sul clima, nell’immediato. Come ci insegna la scienza, infatti, esiste il fenomeno dell’inerzia climatica. Significa che il riscaldamento globale è un trend che non può essere invertito dalla sera alla mattina. Se oggi iniziamo seriamente a cambiare il nostro modo di vivere, tra quindici anni o forse ancora più in là potremo vedere dei risultati. Siamo come dei bambini che devono “fare i bravi senza ricevere la caramella in premio”. E noi comunicatori abbiamo un ruolo fondamentale nel far passare questo messaggio con la dovuta chiarezza e in modo costruttivo”.
Hai già ascoltato il nostro podcast in cui la professoressa Gabriella De Lorenzis affronta il tema TEA, Tecnologie di Evoluzione Assistita applicate alle piante coltivate? Ascoltalo qui sotto! Ricorda anche che puoi trovare questo episodio e tutti gli altri della serie “Fatti di Terra” alla nostra pagina: www.diachemitalia.it/fatti-di-terra