Bresciano di origine ma cittadino del mondo, Andrea Bariselli nasce psicoterapeuta e dopo alcuni anni di esercizio della professione frequenta un master in neuroscienze e inizia ad applicarle in diversi campi, compreso l’agroalimentare. “Durante il master ho avuto modo di vedere come sia possibile utilizzare alcuni apparecchi di derivazione clinica per applicazioni tipiche delle neuroscienze. Tra questi, il lettore elettroencefalogramma senza fili, che io e il mio gruppo di lavoro in Thimus siamo stati tra i primi a utilizzare fuori dai laboratori clinici, per studiare l’uomo nel suo contesto naturale”.
Cosa piace al consumatore? Studiarlo coi sensori
Thimus, la prima azienda fondata da Andrea Bariselli, si è occupata di valutazione e sviluppo di prodotti agroalimentari, utilizzando le neuroscienze e in particolare la misurazione delle attività cerebrali di esseri umani nel momento del consumo, mediante l’uso di sensori “indossati” dai soggetti.
“Con un test basato su degustazioni alla cieca di diversi vini, alla ricerca della correlazione tra i giudizi espressi da un panel di assaggiatori e le reazioni che potevamo registrare nei loro cervelli, io e il mio gruppo di lavoro di allora vincemmo l’edizione 2016 del Premio Internazionale Soldera Case Basse per Giovani Ricercatori. Produttore illuminato e, con questo premio, mentore di tanti giovani impegnati nella ricerca in viticoltura ed enologia, Gianfranco Soldera si appassionò subito al nostro lavoro e ci diede un grande impulso nel proseguire le nostre attività”, spiega Bariselli.
“Thimus – prosegue Bariselli – poté contare fin da subito su una serie di early adopter, aziende che con noi facevano attività di sviluppo prodotti, andando a valutare in tempo reale che cosa accadeva negli utenti quando li si coinvolgeva nella valutazione dei prodotti stessi. L’azienda nacque in Italia, ma successivamente ci trasferimmo in California, dove per quattro anni fu attiva Thimus Incorporated”.
Poi la grande crisi provocata dalla pandemia e la decisione di rientrare in patria.
L’uomo al centro
Cosa è accaduto di importante al tuo rientro dagli Usa?
“Ho ripreso in mano una mia ossessione, ovvero quella per il tema ambientale. Avendo lavorato tanto con le multinazionali e con il dark side del business in generale, mi sentivo un po’ “scomodo”. Compiuti 40 anni e con due figli, ho cominciato a dirmi che avrei dovuto fare qualcosa di utile per l’ambiente”.
Da qui il tuo interesse per le relazioni che legano l’uomo all’ambiente in cui vive e opera.
“Ognuno di noi è un sistema biologico adattivo, che continuamente si autoregola in base ai cambiamenti ambientali. Tra questi eventi ci sono correlazioni in un certo senso “stabili”, prevedibili e misurabili. Così io e miei colleghi abbiamo iniziato a immaginare dei sistemi predittivi che, misurando determinati i fattori ambientali, possano prevedere l’impatto che la loro variazione potrà avere sugli esseri umani, in termini fisiologici e psicologici. Questo per poi cercare, laddove necessario, un riequilibrio, un bilanciamento, pensando e realizzando spazi indoor e outdoor finalizzati proprio a questo. Studi di questo tipo possono essere utili in svariate situazioni: per esempio per aziende che vogliano migliorare il benessere negli ambienti di lavoro, ma anche per policy maker che si occupano di urbanistica e gestione del paesaggio. Strobilo nasce nel 2021 con questa mission. Abbiamo sviluppato una piattaforma di sensori ambientali di nostra proprietà utili a fare monitoring come serve a noi e una serie di algoritmi predittivi e relativi KPI. La prossima fase, cui stiamo già lavorando, ha come scopo lo sviluppo di sensori indossabili in condizioni outdoor (per esempio riponendoli in uno zaino o agganciandoli a un passeggino) che mentre ci muoviamo saranno in grado di realizzare mappature real time delle variazioni dei fattori ambientali che si sperimentiamo e di misurare gli effetti che hanno su di noi”.
Che riscontro state avendo?
“Abbiamo avviato progetti molto belli in Italia, ma ancor di più all’estero. Il nostro Paese, purtroppo, per un certo tipo di discorsi è ancora uno scenario un po’ ristretto, culturalmente ed economicamente. Siamo però molto consapevoli di andare incontro, a livello di brand, alle richieste delle fasce giovani della popolazione, particolarmente attente ai temi ambientali e critiche nei confronti delle generazioni precedenti, per come hanno gestito finora il pianeta. Per essi, ma non solo, abbiamo la volontà di fare qualcosa di estremamente rilevante, dal punto di vista pratico ed etico”.
Per i giovani del resto state lavorando anche nelle scuole.
“Sì, tra le cose che facciamo c’è anche misurare gli effetti della sovraesposizione ad alcuni gas, tra cui la CO2. L’uomo si è evoluto con concentrazioni atmosferiche di questo gas dell’ordine di 200 - 280 ppm, ma quando misuriamo la concentrazione della CO2 in uffici e scuole ci capita di registrare picchi fino 2000 – 2500 ppm nei primi e fino a 4000 -4500 ppm nelle seconde. Nelle scuole siamo andati a incrociare i dati del registro elettronico con quelli ambientali, per individuare eventuali correlazioni tra la qualità dell’aria che gli studenti respirano in classe, le performance scolastiche e le assenze”.
Quanto è importante la qualità dell’aria che respiriamo, andando oltre le ovvietà?
“È importantissima perché è il veicolo tramite il quale l’uomo dialoga con l’ambiente che lo circonda. Un sistema biologico che viene esposto a una concentrazione di CO2 dieci volte superiore a quella in cui si è evoluto, subisce il cosiddetto “effetto neurotropico frontale”, a causa del quale vengono perse una serie di facoltà cognitive. In una scala continua di valori della concentrazione di CO2 presente in un ambiente, con i nostri device e i nostri modelli predittivi siamo in grado di verificare quale attività cerebrale subisca una riduzione di efficienza in corrispondenza di specifici intervalli di concentrazione. Questo delta tra performance ottimale e reale in molte aziende è quantificabile, per cui noi forniamo indicazioni per bonificare gli ambienti e trovare così un rebalance con le persone che vi lavorano. Nello specifico utilizziamo un indice, il Brain Efficiency Index, che su una scala da 0 a 100 quantifica l’efficienza dell’individuo in quel momento, non solo in funzione di quanto esso sia in grado di portare a termine un compito velocemente, ma soprattutto della probabilità che commetta un errore. Anche la variabilità termica fa parte delle condizioni di comfort, perché è la condizione “normale” che l’uomo sperimenta outdoor. Quindi anche tenere per troppe ore una persona a una temperatura costante, mantenuta da un condizionatore, non è l’ideale”.
E l’agricoltura?
Andrea, come sai ti stiamo intervistando per un Blog che parla di tanti argomenti, che tra loro hanno però in comune il fatto di riguardare a vario titolo l’agricoltura. Strobilo lavora nel settore agricolo?
“Vogliamo riprendere il filone delle ricerche fatte in passato nel settore food, su prodotti e materie prime. Ora, concentrandoci di più su temi più vicini alla mission di Strobilo, vorremmo verificare quanto determinati fattori climatico-ambientali possano influenzare la percezione qualitativa del prodotto finito, mettendo sempre al centro l’uomo. In Franciacorta abbiamo in corso un progetto nel quale vogliamo capire fino a che punto la percezione qualitativa del vino assaggiato in cantina sia influenzata da esperienze outdoor che hanno sostanzialmente due finalità: la prima è quella di rendere il consumatore più consapevole dell’ambiente in cui il prodotto è stato ottenuto, eventualmente anche delle difficoltà che il produttore ha dovuto gestire per ottenerlo. La seconda è quella di esporre il visitatore a un ambiente con determinate caratteristiche e di verificare che effetto questo ha sulla sua percezione del prodotto che poi assaggerà: per esempio collocando panchine in prossimità di piante che emettono composti organici biogenici volatili, come oli essenziali. In questo modo vorremmo colmare una lacuna culturale che porta molte persone e non avere alcuna consapevolezza dell’importanza dell’ambiente. Consapevolizzarle significa anche far loro assumere un atteggiamento più proattivo nei confronti del cambio climatico”.
Quanto contano in tutto questo il paesaggio e la biodiversità?
“Moltissimo. Quando eravamo negli Usa abbiamo fatto molte ricerche basate su una scala denominata Recreational Opportunity Spectrum, che valuta della quantità di elementi antropici presenti in una porzione di territorio sul benessere della popolazione. A parole siamo tutti favorevoli ad ambienti meno “inquinati” in tutti i sensi, meno antropizzati e, laddove interessati dalle coltivazioni, che applichino un’agricoltura “rispettosa” e sostenibile, quindi anche favorevole alla protezione e al ripristino della biodiversità. Ma quanti compromessi e quante rinunce è disposto ad accettare il consumatore medio per poter fruire di ambienti più “naturali”? Quanta consapevolezza ha del fatto che questo potrebbe comportare la rinuncia a determinati prodotti? Ancora una volta, su questo punto le giovani generazioni hanno le idee molto più chiare di chi ha qualche anno in più. E poiché si tratta di coloro che tra qualche anno avranno il potere di acquisto e sceglieranno come alimentarsi, nell’indirizzare l’agricoltura dovremmo tenerne conto. Ciò che Strobilo può fare in questo contesto è raccogliere dati, dalla cui elaborazione potrebbero emergere evidenze e correlazioni davvero interessanti e in grado di dare concretezza a quelle che talora paiono solo considerazioni un po’ astratte”.